Le Christ


L'icône de La Deisis de tradition byzantine, symbole de la prière chrétienne

écrite par la main de Caroll Rosso Cicogna

L'icône de la DEISIS est, parmi toutes les icônes de la tradition byzantine et de la tradition russe, celle qui symbolise de la façon la plus explicite la PRIÈRE CHRÉTIENNE. Son appellation grecque signifie prière, supplication.Il n'est pas exagéré de dire qu'elle est la prière incarnée en lignes et en couleurs, de par son nom, de par son origine et de par sa fonction théologique. 

 

La Deisis est en fait le triptyque de l'ancien voile du sanctuaire et c'est la raison pour laquelle cette icône était placée sur le registre supérieur de l'iconostase, le templon ou l'architrave, qui surmontait l'arc de l'abside dans les premières églises orthodoxes qui étaient souvent construites en bois. Elle était aussi au centre de la rangée de l'iconostase nommée «tchin», terme russe qui exprime l'accomplissement de l'incarnation divine et, partant, la plénitude du message évangélique.

À l'origine, l'iconostase servait à séparer le sanctuaire de la nef où se rassemblait la communauté des fidèles et l'icône de la Deisis assumait une fonction primordiale de lien entre Dieu et les croyants, c'était elle qui donnait à l'iconostase son sens théologique.

La forme la plus ancienne de Deisis trouve son origine dans l'épisode de la Transfiguration du Christ sur le mont Tabor apparaissant entre Moïse et Élie et qui constitue un autre thème iconographique. Cette Deisis trimorphe, comme celle présentée à l'édition 2017 de «Fedearteatrieste», est aussi la plus simple mais non moins évocatrice. La Mère de Dieu et Saint Jean Baptiste, les plus puissants intercesseurs auprès de Dieu, y sont tournés de trois-quarts vers le Christ, les mains levées en un geste de supplication. L'icône est composée soit de figures entières ou à mi-corps, comme dans cet exemple, ou se limite seulement aux visages sur un seul panneau ou sur plusieurs panneaux disposés côte-à-côte.

Les architraves les plus anciennes remontent aux XII et XIII siècles avec des exemples encore très bien conservés au monastère de Sainte Catherine du Sinaï, au monastère de Vatopedi et à la Grande Lavra, tous deux  sur le mont Athos. Mais c'est essentiellement au XIV et au XV siècles, période où la sainteté russe, avec le mouvement hésychaste, et la peinture d'icônes, avec André Rublev, atteignirent leur apogée, que se développe l'iconostase telle qu'elle apparaît encore aujourd'hui dans les cathédrales et églises orthodoxes. À cette époque, la construction croissante d'édifices religieux en pierre favorise le renouveau de l'art de la fresque et accorde une place de plus en plus importante aux icônes. Celles-ci assumèrent parfois des dimensions gigantesques pour exalter l'immensité des cathédrales, atteignant parfois plus de trois mètres de haut, comme dans la cathédrale de la Dormition (1408) à Vladimir et au monastère de la Trinité Saint Serge ( 1427), à Sergei Posad.


 

Le Bon Pasteur - Il Buon Pastore


Nel quadro dell'Anno Santo giubilare della Misericordia,  che trascorre sullo sfondo di tragedie umane inaudite e contraddistinte da un marchio d'infamia, la cerimonia ricorrente della Giornata  Mondiale per la Custodia del Creato  riveste una rilevanza tanto più urgente ed un significato ancora più attuale che nelle edizioni precedenti, per un' Umanità ferita da tanti atti di violenza terrorista a matrice islamica.

Nel 2014, questa stessa Giornata era stata l'occasione per formalizzare la donazione di tre mie icone alla Diocesi di Trieste – Gesù e la Samaritana, la Natività (1) e l'Anastasi (2) - durante la Messa celebrata  nella chiesa di Notre Dame de Sion dall'Arcivescovo Crepaldi  alla presenza dei rappresentanti delle Chiese ortodosse serba, greca e rumena e delle Comunità israelita e musulmana.

Per la celebrazione di quest' anno che ha luogo nella chiesa della comunità ortodossa rumena, è motivo di grande gioia e di profondo onore per me poter donare alla parrocchia di Notre Dame de Sion l'icona del Buon Pastore, scritta di mia mano durante un ritiro nel convento delle Suore Clarisse a Nizza, nella scorsa primavera. Prima di essere installata per la venerazione nella cripta della chiesa dove già si trova l'icona della Madre di Dio di Korsun, anch'essa scritta di mia mano (3), l'icona del Buon Pastore verrà esposta durante il prossimo Salone d'Autunno dell'Arte Triestina.

 

Entrando nel vivo dell'oggetto di questo scritto, non vorrei mancare al triste dovere di far eco qui alle illuminanti parole pronunciate da Padre Jacques Hamel di fronte ai suoi parrocchiani, solo qualche giorno prima di essere barbaramente sgozzato a morte nel sua chiesa mentre celebrava l'Eucarestia: sono proprio queste parole che danno una realtà tragica e straziante alla ricorrenza ecumenica di quest'anno all'insegna della Misericordia.

Mentre augurava una bella estate ai presenti ed alle loro famiglie, Padre Jacques ricordava che le vacanze sono un periodo di riposo e di distensione per distaccarsi delle occupazioni abituali e per riavvicinarsi al grande libro della Creazione, e trarne ispirazione ammirando dei paesaggi magnifici che ci elevano parlandoci di Dio; le stesse vacanze che sono anche un tempo di ritiro e di pellegrinaggi per riscoprire le verità del Vangelo, e sperimentare la  sovrabbondanza della Misericordia di Dio. E ciò al fine di ottenere una forza positiva operante in ciascuno di noi.

“ Puissions-nous en ces moments entendre l'invitation de Dieu à prendre soin de ce monde, à en faire, là où nous vivons, un monde plus chaleureux, plus humain, plus fraternel” 

( “Facciamo in modo che sia possibile per ciascuno di noi, sentire l'invito di Dio e prendere cura di questo mondo, e trasformarlo – là dove viviamo – in un mondo più caloroso, più umano, più fraterno e solidale”.)

Ripartendo dalle origini della fede cristiana, appare chiaramente che la figura del Buon Pastore ed il tema della Misericordia erano intimamente interconnessi: gli scritti dei Padri della Chiesa, che  sono la voce viva dei primi Cristiani, sono concordi nello spiegare l'immagine del Buon Pastore allo stesso modo. Nei primissimi tempi della Chiesa Indivisa, il Buon Pastore è una figura che nasce povera ma nella quale sono contenuti tutti gli elementi dell'Antichità e della Cristianità. Ereditata dalla tradizione greco-romana, dove la raffigurazione di un pastore con un agnello sulle spalle era molto diffusa, la figura del Buon Pastore è legata ad un ambiente bucolico idealizzato, “otium”, lontano dalle preoccupazioni cittadine, “negotium”, nel quale si trovava la possibilità di dedicarsi alla sfera dello Spirito. Questo pastore ha  i lineamenti di un giovane fanciullo vestito con  una tonaca corta con una spalla scoperta, dotato degli attributi tipici della sua umile occupazione, come il flauto di Pan ed  il bastone per raggruppare le pecorelle. Questa rappresentazione si ricollega alla benevolenza della figura di Hermès, il pastore crioforo, che simbolicamente conduce le anime nell'aldilà. Nel tempo, questa figura verrà evidentemente dissociata da Hermès come divinità, e diventerà la personificazione di una virtù, la “filantropia”, ovvero l'amicizia verso il genere umano. Per  i primi Cristiani risulto' naturale adottare questa immagine senza cambiarla, riscontrandone il riflesso su terra della Misericordia divina; essi ne capirono la Bontà, che è solo uno degli aspetti della Misericordia divina, insieme a pietà, pazienza, compassione, amore materno, empatia, e la coprirono di un contenuto nuovo, ispirato al Vangelo di Giovanni, nel quale Gesù appare come il Buono, o più esattamente, come il Bel Pastore. Nel corso del tempo, nella trasmissione delle parole di Gesù per opera dei suoi Apostoli, questo concetto antico si è evoluto nella virtù della carità cristiana vissuta. Peraltro, questa immagine era ben presente nella psiche stessa dei primi Cristiani, richiamando  il compimento della profezia del  libro di Ezechiele nell' Antico Testamento. 

Nei primi tempi della Chiesa, l'arte cristiana ricorre spesso a questa figura come sintesi del mistero di Cristo e della Sua missione. Egli infatti, quando si definisce il Bel Pastore, ricorda la Sua filiazione divina e la Sua identità messianica. La figura che viene dipinta o scolpita nelle catacombe, nei battisteri o sui sarcofagi, ci rappresenta in realtà il primo viso di Gesù, che si avvicina di più a quello di Apollone, Dio della Bellezza e della Parola che splende come un sole: un viso giovane, imberbe, radioso di Bontà quello del Cristo “sol invictus”. Questa figura era l'unica immagine di Gesù autorizzata dalla gerarchia ecclesiastica come rappresentazione allegorica di cui certi esempi sono rimasti fino ad oggi: negli affreschi delle catacombe di San Callisto, di Domitilla, di Priscilla a Roma o sul sarcofago di Santa Maria Antica nel Foro romano, o ancora nel mosaico pavimentale della basilica paleocristiana di Aquileia. 

Dopo la Pace Costantina, l'iconografia cristiana cambia, e l'immagine bucolica dell'umile Buon Pastore filantropo scompare per far posto ad una rappresentazione più imperiale di Cristo, quale il Cristo in trono, regale e benedicente.Tuttavia, l'immagine del Buon Pastore  verrà recuperata alla fine del secolo IV, ma in una forma più idealizzata, prima di scomparire quasi completamente nell'arte medioevale, nella quale diventeranno predominanti le rappresentazioni del viso di Cristo, ispirate dal Mandylion, per la Chiesa d'Oriente, e dalla Veronica, per quella di Occidente. 

Uno degli esempi più consumati del Buon Pastore filosofo appare nel secolo V nella bellissima figura del mosaico nella lunetta soprastante la porta d'ingresso del mausoleo di Galla Placida a Ravenna. In questo mosaico, il Cristo è rappresentato come il Buon Pastore che tiene in mano una croce o bastone pastorale ( e non più un semplice bastone), seduto su delle rocce che in primo piano si spezzano in stilizzate fratture, in mezzo a sei pecorelle ( sei essendo la metà di dodici, il numero degli Apostoli); è vestito non più con una corta tonaca ma bensì indossa una tunica d'oro  e l'aureola intorno al capo corrisponde ad un attributo imperiale. Gesù non ha più un viso di fanciullo, ma il volto sapiente di un  adulto ancora giovane dall'aspetto filosofico e con la barba folta, tratto tipico dell'immaginario imperiale. 

Le due icone presentate in questa sede, entrambe scritte di mia mano (4), sono copie delle composizioni originali contemporanee opera del mio maestro, Giancarlo Pellegrini, e  si ispirano proprio al mosaico di Ravenna: l'una, più vicina allo stesso mosaico, riproduce una sola figura di Cristo; l'altra, più complessa e più recente, simbolizza le due parabole con due immagini di Cristo nella stessa composizione. Nella prima icona sono riprodotti fedelmente tutti gli elementi del mosaico originale, tradotti in linguaggio iconografico; ed è di particolare interesse questa trasposizione da mosaico ad icona, che dimostra lo stretto legame di continuità nell’ arte sacra tra mosaici, affreschi, pittura su legno, pergamena e vetro. In particolare, il fondo in oro ed il delicato lavoro di  “assist” sull’ abito di Cristo ricordano lo splendore dei tasselli dorati del mosaico. In secondo luogo, è interessante studiare la trasposizione nello spazio iconografico del motivo di Ravenna, con una posizione quasi identica di Cristo: il volto girato verso destra e la mano destra tesa verso sinistra per accarezzare una pecora che si avvicina a Lui, l’altra mano sollevata per sostenere il bastone a forma di croce, con  i piedi incrociati delicatamente avvolti dai lacci sottili dei sandali. Anche i particolari dell’abito sono stati rispettati, con i raggi d’oro che simbolizzano la Luce divina; altrettanto fedelmente trasposte sono le pecore, il giardino e le rocce.

Nella seconda icona, che è una elaborazione più complessa della prima, sono presenti le due figure del Buon Pastore come rievocazione delle due parabole: quella del Buon Pastore che pascola le sue pecore, le nutre e le protegge, evocando quindi la figura di Cristo come Pastore della Chiesa; e quella della pecorella smarrita, in cui Cristo veste l'abito con cui è raffigurato nelle icone del Pantocrator dove il manto blu "himation”, rappresenta la Sua natura divina che ricopre la veste porpora “chitone” a richiamo della Sua natura umana.Questi due colori vengono poi  rispecchiati in modo più tenue nei colori della roccia dove siede, quasi rosa e l'altro nel blu chiaro del fiumicello che scaturisce dalla montagna.

In entrambe le icone si ritrova l'immagine della porta in alto a destra, come si ritrovano anche le tre montagne, simbolo della Trinità. Inoltre si ritrova la figura di Cristo  che scende dalla montagna con sulle spalle la pecorella smarrita, dopo aver abbandonato le novantanove pecorelle per salvare quest'ultima. Qui, invece di una pecora nella porta si ritrova il gregge che simbolizza le novantanove pecorelle. 

L'iscrizione riprende l'espressione originale in greco antico del Vangelo di Giovanni per cui bello e buono sono la stessa parola. Nella croce del nimbo si trovano tre lettere in greco che corrispondono alle iniziali di “Colui che è” ( Esodo 3,14) come Dio si rivelo a Mosè sul Sinai. Sul fondo in oro sono incise le iniziali del nome di Gesù Cristo in greco bizantino e l'oro alla foglia del fondo dell'icona, del nimbo e dell'assist segnano la dimensione e lo spazio divino in cui l'icona è immersa.

In quanto al simbolismo dell’icona, esso si riconduce ai testi sacri che trattano del Buon Pastore, riprendendone in modo pittorico gli elementi più salienti.  La fonte principale si trova nel Vangelo di San Giovanni (X: 1-21), nel quale Gesù stesso si descrive come il Pastore che dona la vita per le sue pecore. 

“Io sono il Buon  Pastore; il Buon Pastore dà la vita per le sue pecore… Io sono il buon pastore e conosco le mie pecore, e loro conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore…” 

Questa relazione intima di Amore divino tra Cristo ed i suoi seguaci viene qui simbolizzata dallo sguardo delle pecore rivolte verso la figura centrale di Gesù, ed anche dalla mano tesa di Cristo verso una di loro. Lo stesso testo fa anche riferimento alle pecore perse o ferite, come viene rappresentato sull’icona con una pecora smarrita nella grotta oscura, ed un' altra con la gamba fasciata. La manifestazione teofanica  di Gesù risuona nel cuore dei primi Cristiani che vedono in essa il compimento della profezia di Ezechiele, dove il Signore rimprovera i pastori del popolo perché pensano solo a loro stessi invece di prendere cura del gregge.

”Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide-mio-servo. Egli le condurrà al pascolo; io, il Signore, sarò il loro Dio e Davide-mio-servo sarà principe in mezzo a loro.” (Ez 34,23-24)

“In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore…Io sono la porta: se uno entra per me, sarà salvato, entrerà e uscirà, e troverà pastura”  Questo brano viene illustrato nella parte superiore a destra nell’icona dove si vede una pecorella uscire dalla porta di un ovile stilizzato di un colore rosa tenue e nell'altra icona, si vede un gregge che simbolizza le novantanove pecorelle abbandonate da Gesù che va a salvare la pecorella smarrita.

Ma già nell’Antico Testamento, Dio stesso viene chiamato Pastore nel salmo 23, del Profeta Davide, che da ragazzo fu pastore, nel quale descrive Dio come il suo pastore. 

“ Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce…” 

Il ruscello che scaturisce delle montagne e le piante che appaiono tra le rocce in primo piano dell’icona intendono evocare questo passaggio. Questo salmo 23 è recitato durante la notte pasquale ed è un salmo battesimale.Nelle acque si può anche vedere un riferimento al battesimo dei primi catecumeni che dovevano recitare questo salmo nella notte della Santa Pasqua, simbolo della morte alla vita terrena per rinascere in e con Cristo. Nel testo si evocano anche le cime più alte che simbolicamente rappresentano le tre supreme realtà che si riscontrano nella persona divina ed allo stesso tempo umana di Gesù: la verità, la grazia e la gloria, che ci fanno partecipi del mistero divino della Santa Trinità. Esse infatti trovano un’evocazione pittorica con una sottile gradazione cromatica nelle tre montagne dietro la figura centrale di Cristo.

La seconda fonte si trova nei vangeli sinottici di Matteo e di Luca che ci forniscono la chiave del nesso tra il Buon Pastore e la Misericordia. Vi si legge che Gesù abbandona le novantanove pecore e scende della montagna per salvare la pecorella smarrita e quindi risale portandola sulle Sue spalle.  Approfondendo l'esegesi di questa immagine grazie agli scritti dei Padri della Chiesa, che hanno spiegato il significato profondo di questo potente simbolo antico, si intuisce che questa discesa della montagna diventa il simbolo dell'incarnazione, della discesa del Figlio di Dio che stava nella coscienza divina, e che per sovrabbondanza d'amore si è spogliato della sua condizione divina e si è fatto simile agli uomini. Il genere umano è la pecora smarrita nelle tenebre ed il Buon Pastore che risale dalle tenebre tenendosela sulle spalle è il Cristo che risorge identificandosi con l'Umanità redenta. Questa è la vera parabola della Misericordia, che traspare attraverso l'icona del Buon Pastore e che trova il suo eco nell'icona dell'Anastasis degli Ortodossi (2), impropriamente  tradotta come Discesa agli Inferi, mentre in greco “Anastasis” significa risalita, ovvero l'ascesa di Cristo nella Sua Luce  Divina, tenendo per mano i Santi Progenitori del genere umano.

Il fatto che dalle origini questa immagine fosse già una sintesi fondata sulla virtù della “filantropia” potrebbe spiegare perché l’immagine di Gesù come Buon Pastore è sicuramente quella più conosciuta e più amata dai Cristiani, ed è diventata il simbolo cristologico per eccellenza, carico di tanti significati che si prestano bene ad una rappresentazione iconografica.

L’icona del Buon Pastore scritta in questo spirito, oggi, testimonia che il Cristo è vivo in mezzo a noi, ci protegge e ci guida se solamente siamo disposti ad ascoltare la Sua voce. Non si tratta di fare delle cose straordinarie, di compiere dei prodigi: “è sufficiente amare nella quotidianità della nostra vita, a qualsiasi costo.” Questa è la lezione eterna del pastorello di pecore dalla tunica corta e con un viso giovanile, venerato nei primi tempi della Cristianità Una ed Indivisa, e ricca della sua eredità greco romana.

In conclusione, desidero esprimere la mia riconoscenza all'Arcivescovo Gianpaolo Crepaldi ed a Monsignor Ettore Malnati per avermi invitata da ormai quattro anni a partecipare all'evento “Fedearteatrieste oggi” e per aver potuto presentare le mie icone in occasione della nona e della undicesima Giornata Ecumenica per la Salvaguardia del Creato. Il lavoro dell'iconografo si svolge nella solitudine e nel silenzio perché si tratta di un vero “ faccia a faccia” con l'incarnazione del Mistero Divino. Viceversa, per me una gioia profonda consiste nel diffondere le icone nel mondo e nel condividere momenti di preghiera e raccoglimento con le sorelle e i fratelli di tutte credenze, davanti alle opere compiute.

NOTE


(1)  Vita Nuova – n° 4783 – 25 dicembre 2015 – p.21 – con foto dell'icona della Natività in copertina- articolo di Alessandra Scarino

(2)  Vita Nuova -  n° 4795 – 25 marzo 2016 – p. 19 – con foto dell'icona dell'Anastasis in copertina – articolo di Alessandra Scarino

(3)   Vita Nuova – n° 4792 – 4 marzo 2016- p.22 – articolo a cura di Caroll Rosso Cicogna

(4)   Vita Nuova – n°  4787 – 20 gennaio 2016 - Per un approfondimento sulla tecnica ed il significato dell'icona, e la presentazione del catalogo “ Spirali di Vita” di Caroll Rosso Cicogna - articolo di Alessandra Scarino