Senso, una parola del tutto semplice, pressoché banale, appare appropriata come titolo dell'opera che espongo quest'anno al Salone d'Autunno dell'Arte triestina, in quanto le tre principali accezioni del termine (direzione, significato e percezione) traducono il messaggio che quest'opera intende trasmettere. Nel catalogo di questa undicesima edizione del Salone curato da Franco Rosso, viene presentata in forma di trittico; ma per l'esposizione stessa, ho preferito presentarla in dittico per far meglio apparire il legame spirituale e la corrispondenza estetica che possono esistere tra l'icona come espressione tradizionale di arte sacra ed una “icona geometrica” con un forte senso del sacro. Premesso che si tratta di arte sacra e non di arte liturgica o religiosa, è apparso come un'evidenza il fatto che l'astrazione sia un idioma adatto al sacro come proposta per oggi.
Se è vero, d'altra parte, che l'arte cristiana tradizionale è di una ricchezza incredibile in tutte le sue forme di espressione figurativa, ciò non è di meno per l'arte sacra non figurativa, che porta l'uomo contemporaneo ad una riflessione più intensa, in quanto lo obbliga a guardare oltre i paradossi della vita terrena per tentare di entrare nel cuore del Mistero Divino.
In verità, l'arte sacra, per la sua stessa natura intrinseca, è necessariamente astratta poiché ha per vocazione di rappresentare l'Invisibile, l'Indicibile, l'Incomprensibile; e l'arte cristiana in particolare, può essere inscritta in quest'ottica, dal momento che anche Cristo, Verbo incarnato, presentava se stesso in termini puramente astratti, come Luce, Via e Verità. L'idioma astratto si allontana allora dalla semplice narrazione di un tema e si apparenta piuttosto ad un dialogo intimo dell'artista con il Divino. Liberato dai canoni della tradizione, l'artista, se credente e sincero, cerca di esprimere attraverso forme e colori una Presenza non rappresentativa di cui tenta di trasmettere con la sua arte delle faville di Trascendenza. E procede altresì ad una rivisitazione originale dell'arte sacra tradizionale con una visione contemporanea che porta al raccoglimento ed alla contemplazione.
Senso, il dittico composto da una icona tradizionale del Cristo in Gloria e da una composizione astratta articolata su quattro pannelli simbolizzanti i quattro Evangelisti, ricorda che la raffigurazione dell'Invisibile, nata in Oriente e culminata nell'arte dell'icona bizantina e russa, è stata e continua ad essere una fonte di ispirazione potente per l'arte astratta profana e per quella sacra. Appare importante ricordare a questo riguardo gli scritti e le opere pittoriche del grande maestro russo Vassily Kandinsky (1866-1944), ed in particolare il suo trattato intitolato «Lo spirituale nell'arte», nonché, tra i suoi lavori, le variazioni sul tema dell'icona di San Giorgio.
L'icona del Cristo in Gloria si ispira ad una immagine di origine bizantina, anteriore alle diatribe dell'iconoclasmo. Questa è apparsa in Russia nei secoli XII e XII raggiungendo la sua perfezione nelle icone monumentali di Teofano il Greco (circa 1335-1410) e di Rublev (1360-1430). Il soggetto che illustra si fonda sulle visioni di Isaia (VI,1-4), di Ezechiele (I,1-28) e sull'Apocalisse di San Giovanni (IV, 1-9). Il Cristo vi è rappresentato su un trono o su di un arco-in-cielo, circondato da una mandorla, spesso inscritta in una losanga rossa ed ai quattro angoli figurano i simboli dei quattro Evangelisti: l'uomo-angelo attribuito a Matteo, il leone a Marco, l'aquila a Giovanni ed il toro a Luca. La mandorla che lascia apparire degli angeli in filigrana riporta alla tradizione moscovita del XV secolo.
L'originale dell'icona presentata a questa undicesima edizione del Salone si trova attualmente nella Cappella dell'Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo ed è attribuita al maestro iconografo Alexander Stalnov, che si è ispirato al mosaico gigante che orna la cupola dell'Ascensione nella Basilica di San Marco a Venezia, e nel quale appare il Cristo troneggiante in una mandorla rotonda con molti circoli concentrici, trapunti di stelle. Creando il suo modello, Stalnov ha scelto la sfida audace di trasporre una rappresentazione musiva imponente nella scala a proporzioni ridotte di un'icona su pannello di legno; ed il suo genio si manifesta anche attraverso una scelta pittorica. In effetti, tra i colori tradizionali attribuiti a Cristo - porpora per la tunica con il mantello blu, per marcare la sua duplice natura umana e divina; bianco del vestito per evocare la sua Trasfigurazione; e infine ocra-arancione ricoperto di oro all'assist, per sottolineare la sua umanità rivestita di Divinità - Stalnov ha scelto quest'ultima opzione che comporta pero una difficoltà supplementare, dal momento che il volume deve essere creato unicamente attraverso la grafia e le ombre nelle due
principali campiture di colori complementari (l'arancione dell'abito ed i blu della mandorla), essendo totalmente assenti dall'immagine gli schiarimenti. Conviene ricordare che non esiste una prospettiva di tipo atmosferico nell'arte dell'icona, ma una profondità simbolica creata dalla prospettiva inversa e dal gioco della grafia e dei colori che servono a suggerire una visione dell'essere umano trasfigurato e dell'Aldilà.
Sul piano dei simboli, la mandorla che contorna il Cristo evoca i Cieli (e non il cielo) che sono la vera dimora di Dio, detta anche Gloria, di forma circolare o ovale, forma perfetta senza rotture che rappresenta l'Infinito. Questa mandorla può contenere fino ad otto circoli concentrici, simbolo della Pienezza, ovvero limitarsi a tre circoli, come in questo caso, evocando la Trinità. Il quadrato (o la losanga) rappresenta il mondo terrestre e l'umanità con la figura del Tetramorfo alle quattro estremità, qui evocato attraverso i simboli
attribuiti ai quattro Evangelisti. il leone, per Marco, evoca la forza penetrante della Luce e del Verbo e la figura del Cristo-Giudice; l'aquila, per Giovanni, è celeste e solare equivalente nel cielo del leone su terra, e simbolo della contemplazione; il toro, per Luca, evoca la forza creatrice, ed il suo aspetto sacrificale rappresenta il desiderio di una vita dello spirito che permetta di prevalere sulle pulsioni animali; l'uomo-angelo per Matteo, evoca la duplice natura umana, fatta di carne e di spirito, che da sola costituisce un microcosmo, riflesso individuale del macrocosmo.
Il Tetramorfo, legame tra le due icone. La figura del Tetramorfo raggruppa in un solo essere mitico a facce multiple le principali caratteristiche mistiche che i Padri della Chiesa hanno attribuito al Cristo: attraverso il leone esso è re; attraverso il toro
sacrificale è ora il sacerdote ed ora la vittima; attraverso
l'aquila è venuto dal cielo, dove ritorna attraverso l'uomo angelo. Nel corso dei secoli, gli artisti cristiani hanno il più delle volte rappresentato il Tetramorfo dividendolo in quattro teste alate (tre di animali ed una umana) per riunirle intorno al Signore come emblemi dei quattro Evangelisti, ma è sempre al Cristo che questi animali si rapportano nel loro simbolismo. In effetti, il Tetramorfo ha un'origine molto più antica della tradizione cristiana, probabilmente legata al simbolismo del numero quattro nella civiltà assiro-
babilonese, con i quattro Guardiani del Mondo disposti ai quattro angoli del firmamento dell'Antico Oriente. Questo simbolismo appare sotto la forma dei quattro Esseri Viventi dell'Antico Testamento, in particolare da Ezechiele: una formulazione misteriosa che esprime la totalità dell'Universo e l'ubiquità della presenza di Dio. Nel II secolo, Sant'Ireneo di Lione attribuì ai quattro Evangelisti i simboli dei quattro Esseri Viventi ai quali dette il nome greco di Tetramorfo in quanto, presi nel loro insieme, riflettono i differenti aspetti del mistero del Figlio di Dio, simbolizzato proprio dalla cifra quattro. Il tema dei quattro Esseri Viventi di Ezechiele, anch'esso ispirato ad un mondo pagano, portato al suo apogeo nell'Apocalisse di San Giovanni, è completamente cristianizzato. Ma solo nel IV secolo San Geronimo fisserà l'attribuzione degli animali agli Evangelisti, come essa viene descritta in precedenza e come resterà nella tradizione cristiana fino ai nostri giorni, creando un legame tra i simboli, le caratteristiche di ciascun Vangelo e la personalità spirituale di ciascuno degli autori.
L'icona astratta. Per l'iconografo e per il pittore medioevali il colore aveva un senso simbolico che permetteva loro di apportare un'aura poetica alla tradizione cristiana. In linea con quest'ordine di idee, la composizione astratta in quattro pannelli lavorati con la tecnica dell'icona costituisce una geometria cromatica che rimanda all'Assoluto con il tramite di un insieme sottile di simboli recanti un messaggio di universalità nel tempo e nello spazio. In effetti, ciascuno dei quattro pannelli simbolizza un Evangelista, riconoscibile dal colore che corrisponde alla natura del suo messaggio cristico: il rosso per Marco, il blu per Luca, il verde per Matteo ed il giallo per Giovanni. Insieme formano un “Tetramorfo astratto” che, come abbiamo già visto in precedenza, rappresenta la sintesi delle qualità mistiche del Cristo ed è simbolizzato al centro dei quattro pannelli attraverso una mandorla blu aperta. La dimensione
ottico-percettiva dei colori combinati ai raggi che si dispiegano su ciascun pannello porta ad uno spazio infinito rappresentato dall'oro, i cui contorni sono in forma di stella ottagonale intesa a marcare la Pienezza. Questa evocazione del Divino, tradotta in forme e colori, simbolizza la perpetuità del messaggio di Cristo attraverso il tempo, grazie agli scritti degli Evangelisti. Ciascuno di questi quattro colori è ancorato ad una base di ematite d'Armenia, colore spesso utilizzato per le veste della Vergine, che qui significa l'incarnazione del Verbo. Ogni colore si declina quindi con una progressione di toni dai più scuri ai più chiari, passando per delle tonalità eclatanti al centro dei raggi. Le proprietà ottiche e fisiche dei pigmenti naturali permettono inoltre una evocazione luminosa delle tre Età della Buona Novella proclamata alle quattro estremità della Terra. I quattro Vangeli hanno attraversato i secoli per arrivare fino a noi, ciascuno con il “suo colore”, ma tutti emanazione del medesimo spirito, perché tutto si ricollega e si sintetizza in Lui. Quattro Evangelisti, quattro Vangeli: un'unica ispirazione per quattro testi diversi, rappresentati da quattro gamme di colore diverse, accordate dall'oro che ci
riporta al Divino. Contemplare quindi questi colori non è altro che un canto di giubilo a Dio. Trieste, novembre 2017